Ci sono malattie ed imprevisti di salute che ci terrorizzano non in quanto tali, ma per le conseguenze che, in casi nemmeno troppo rari, sono in grado di portare: patologie che si concatenano, indebolimento del sistema immunitario, handicap e, in sostanza, veri e propri sconvolgimenti della vita ordinaria che non influiscono solo sulla percezione del proprio benessere, ma anche sulle normali attività quotidiane.
Tra questi “mostri” quasi innominabili c’è, sicuramente, l’ictus: l’insorgere, cioè, spesso sfortunatamente anche asintomatico, di una condizione per la quale avviene un’improvvisa chiusura o rottura di un vaso cerebrale che causa pericolosi danni ad alcune cellule a causa del mancato apporto temporaneo di ossigeno e nutrimenti al cervello; si stima che, nel nostro Paese, ogni anno siano circa 185mila le persone colpite da un ictus, di cui 35mila sperimentano un episodio ripetuto (e quindi più pericoloso), con un’incidenza, in fatto d’età, che sale dopo i 45 anni e diventa fortissima verso i 60 e dopo i 70.
Le conseguenze sono nefaste: il 10-20% delle persone colpite per la prima volta muore entro un mese dall’attacco, un altro 10% entro il primo anno; i sopravvissuti, invece, si dividono in un terzo che resta invalido e non autonomo, un altro terzo che sperimenta una disabilità più lieve e, infine, coloro che riacquistano tutte le facoltà.
Secondo le stime, l’ictus cerebrale è la terza causa di morte, in Italia, e la prima di disabilità.
Ecco perché gli scienziati sono al lavoro per cercare una soluzione che funzioni a posteriori e che accompagni una necessaria ed oculata informazione che riesca a dare, a priori, risultati in termini di prevenzione.
Dopo l’ictus
Ove la prevenzione non basti o non sia stata correttamente eseguita o l’intervento tempestivo dei medici si riveli insufficiente o non riesca a consumarsi, l’ictus, se di forte entità, può portare grandi scompensi a livello cerebrale: quello che si è osservato, infatti, è la formazione di un tessuto morto che viene, successivamente, riassorbito dall’organismo, una sorta di cavità vuota, dove vasi sanguigni, neuroni e fibre nervose sono completamente assenti.
I ricercatori dell’UCLA (Università della California), quindi, hanno pensato ad una contromisura ad hoc per evitare questa contingenza e favorire un funzionamento più congruo di tutte le parti del cervello, anche quelle danneggiate.
La ricerca
Si tratta di uno studio ancora giovane e poco pretenzioso, ma che ha tutte le potenzialità di rivelarsi effettivamente un grande passo in avanti per la risoluzione del problema. La rivista Nature Materials ne ha svelato i retroscena: al momento si tratta di risultati ottenuti solo tramite sperimentazioni su cavie, ma si è riscontrato che, iniettando, subito dopo l’ictus e direttamente nel cervello, un gel ad hoc, insieme ad altre molecole utili per la rigenerazione dei vasi sanguigni e per fornire un’azione antinfiammatoria, in 16 settimane è comparso, nelle cavità appena formatesi, del nuovo tessuto cerebrale con, dato ancora più interessante, nuovi neuroni.
Esaminando anche la qualità della vita post-intervento, si è anche riscontrato un miglioramento delle capacità motorie.
Non resta, quindi, che aggiornarsi per conoscere gli immediati, prossimi sviluppi di questa scoperta.