Nell’ambito della disabilità la maggior parte delle attenzioni sono rivolte a coloro che ricevono assistenza, tra anziani, disabili e persone non autosufficienti.
Si parla, invece, sempre troppo poco del carico fisico, emotivo e psicologico a cui sono sottoposti i caregiver, cioè coloro che si occupano delle cure degli assistiti, in generale persone di sesso femminile appartenenti alla famiglia, che sentono una grossa responsabilità sulle proprie spalle.
Quando si tratta di genitori, infatti, o suoceri a cui si è particolarmente legati, scatta come una sorta di senso di protezione maggiore, e di responsabilità, generato dalla circostanza che ci si sente in debito per tutte le cure ricevute, a propria volta (o dal partner), durante l’infanzia.
Questa incombenza è legata al fatto che la medicina ha fatto passi da gigante e, man mano, ha permesso di vivere vite sempre più lunghe, pagando, però, il prezzo di malattie, talvolta, degenerative, come l’Alzheimer, che arrivano al punto di rendere la persona non più autosufficiente e, quel che è peggio, anche “sconnessa” dalla logica naturale, motivo per il quale si necessita di assistenza anche h24 in moltissimi casi.
Un’incombenza che, non ci si pensa, è capace di cambiare la vita intera di una o più persone, quando si presenta.
Numerosi studi condotti a livello statistico indicano la generazione intermedia come la più colpita da quest’evenienze, trovandosi a dover far combaciare impegni e compiti non sempre eseguibili autonomamente o conciliabili: quella che gli psicologi definiscono la sandwich generation, schiacciata fra la crescita dei figli piccoli o la cura dei nipotini dei figli giovani adulti e l’assistenza ai genitori invecchiati e/o disabili.
Quel che è peggio è che, spesso, sono le stesse figure femminili a proporsi, dimenticando, o facendo passare in secondo piano, le proprie esigenze e i propri doveri, da assolvere verso se stesse e gli altri componenti del nucleo familiare, senza calcolare, oltretutto, che, per occuparsi di qualcuno non più autosufficiente, c’è bisogno di acquisire le competenze giuste e di essere in grado di poter offrire disponibilità economica, fisica, psicologica ed elasticità dei propri programmi quotidiani: una serie di componenti che gravano, necessariamente, prima o poi, sullo stress di questi “volontari per amore”.
Tra l’altro, ci sono anche altre situazioni per le quali i caregiver si ritrovano ad esercitare questo ruolo: mancanza di altri membri disponibili in famiglia, mancanza di risorse economiche, volontà dell’assistito che non si rende conto, talvolta, del grave carico che mette sulle spalle del “prescelto”.
In più, per citare un caso completamente opposto, ci sono anche anziani, ad esempio, che non sono consapevoli del bisogno di cure che hanno, e le rifiutano, mettendo i caregiver in una posizione di stress psicologico e di impotenza; talvolta ci vuole tempo per comprendere ed accettare la propria situazione, talvolta, purtroppo, non la si accetterà mai veramente del tutto, rendendo le cose molto difficili a chi vuole aiutare. Ci sono anche patologie in grado di cambiare il carattere degli assistiti, rendendoli insofferenti, arroganti, talvolta mettendo le persone quasi in una posizione di ricatto morale o, che forse è anche peggio, patologie, come quella di demenza, in cui è il caregiver a dover imparare a “leggere i segnali”, a prevenire, a sostenere, a causa della pesante componente in più dell’incomunicabilità.
Tutto questo porta via tempo, soldi, a volte salute, e può risultare come una gabbia dalla quale non si riesce più ad uscire fino alla fine, rinunciando anche a contatti sociali e alle normali attività del quotidiano: molti caregiver, schiacciati dal senso di responsabilità, finiscono per sentirsi molto soli e abbandonati al proprio “dovere”.
Ecco perchè è importante parlare dei servizi di cui si può usufruire per diminuire questo carico, a tutti i livelli, rendendo anche i risultati, tra l’altro, migliori per tutti: assistente e assistito.
Per quanto riguarda i servizi socio-sanitari, esistono centri diurni, asili notturni, ricoveri di sollievo, case di riposo o personale addetto all’assistenza domiciliare, che possono offrire un grande aiuto, ma sono realtà a cui non tutti possono rifarsi perchè gravano, di certo, a livello economico sul bilancio familiare. In più, sono rimedi talvolta “mal visti” da chi vive un’affettività troppo morbosa, o ammalata dallo stesso male che ha colpito il proprio caro. A questo punto, quindi, può essere utile rivolgersi a gruppi di mutuo aiuto per trovare sollievo a livello psicologico e cominciare a guardare le cose da un’angolazione più sana e meno “contaminata” dagli eventi. A volte il consulto può tornare utile anche se rivolto alla coppia curante-assistito, poichè una persona esterna, competente, può di certo offrire dei punti “mediani” d’accordo tra entrambe le parti.
In sostanza, è veramente importante che sia assistito che caregiver imparino ad accettare la realtà per quella che è, con tutte le sue contraddizioni, i suoi pro ed i contro: chi deve ricevere aiuto deve essere in grado di chiederlo e di giovarne, senza appesantire troppo la vita di chi glie lo offre che, a sua volta, non deve dimenticare le proprie esigenze e la propria vita, per non ritrovarsi, poi, oberato di doveri, solo, lontano dai propri affetti, frustrato e insoddisfatto. Per offrire il miglior aiuto possibile agli altri è importante imparare a conoscere i propri limiti e a prendersi cura di se stessi, per essere sempre in forma ed in grado di poter assolvere ai propri compiti con lucidità e dedizione vera.