Che lo scopo primario dello sport sia stato “sviato” a causa dell’avidità umana, in tutti i campi, è risaputo.
Ma ci sono situazioni e persone che riescono a rimettere tutti i tasselli al loro posto, ridando il significato originario alle cose.
Siamo nel 1948. A Stoke Mandevillem, Inghilterra, si svolgono le prime gare sportive squisitamente pensate per atleti disabili. Il giorno è lo stesso che vede l’apertura della cerimonia per i Giochi Olimpici di Londra. Sir Ludwig Guttman, un neurochirurgo inglese, durante la Seconda Guerra Mondiale si era occupato di curare i feriti rimasti invalidi, cominciando a pensare a un’iniziativa valida per fortificare, contemporaneamente, il loro spirito e il loro fisico. Fu proprio così che cominciò tutto.
Quattro anni più tardi siamo in Olanda, le gare sportive per disabili si riconfermano e si comincia a parlare di Paraolimpiadi. Da allora non si è più smesso, fortunatamente.
Ma c’è voluto molto tempo prima che gli atleti paraolimpionici cominciassero ad essere considerati alla stregua di qualunque altro atleta normodotato. Con il passare degli anni i sentimenti più vicini alla compassione hanno lasciato posto a quelli di stima e ammirazione, confrontandosi con la genuinità di persone che affrontavano competizione, agonismo ed anche, certo, divertimento a testa alta.
Sono così arrivati anche i primi sponsor, che hanno sicuramente contribuito, in larga parte, ad accrescere e confermare l’iniziativa e il conseguente impegno, donando finalmente alle Paraolimpiadi notorietà, successo e caratteristiche paritarie alle gare olimpiche.
Gli atleti disabili sono un monito per molte persone: incoraggiano i neo-disabili e danno carica e adrenalina a chi disabile non è ma vive un momento difficile o di ristagno emotivo.
L’idea è quella di offrire uno strumento che sia valido e positivo sia per chi pratica lo sport sia per chi lo segue dall’esterno, riportando la mente e lo spirito a quei valori che lo sport stesso possiede ed insegna, a prescindere dall’essere una “fisica” competizione in cui confrontare e misurare abilità individuali.
Il ritorno a quest’intenzione dello sport è sicuramente l’aspetto più importante, in questo senso.
E’ una realtà con cui dover fare i conti quella che offre dati sulla disabilità, a livello nazionale e mondiale. Che si nasca con problemi congeniti (come l’atleta Pistorius) o che ci si ritrovi in condizioni traumatiche che portano alla disabilità, imparare a non scoraggiarsi e ad affrontare “il mostro” rappresentato da questo cambiamento così radicale di vita è fondamentale, è la base per la salute psicologica indotta da queste circostanze. Cominciare ad occuparsi del proprio benessere psicofisico, in tutti i modi possibili (e piacevoli), è un primo importantissimo tassello, ed è in questo contesto che si inserisce lo sport, con il sollevamento pesi, la corsa, la pallacanestro e tutto quanto è nelle proprie possibilità fare.
Quando si soffre di patologie invalidanti, infatti, l’insorgenza di conseguenze secondarie è da mettere sempre in conto: patologie correlate al disturbo (piaghe da decubito), depressione, mancanza di mordente sono dietro l’angolo, pronte a rendere le cose ancora più complicate.
In questo contesto l’attività fisica, di qualunque natura sia, si colloca perfettamente, proponendosi di allontanare questi problemi e questi stati d’animo, fornendo vie d’uscita alternative dal “tunnel”.
Attraverso programmi mirati, e soprattutto nel contesto giusto, formato dalle persone più giuste con cui interagire a livello personale (che possono essere diverse da individuo a individuo), il disabile può ricostruirsi, totalmente ma anche nuovamente, in un modo che probabilmente nemmeno lui avrebbe mai immaginato! L’obiettivo punta al potenziamento e all’ampliamento delle funzionalità sane, in modo da raggiungere risultati di tutto rispetto sui quali poi poter lavorare in altro modo.
Palestra e sport
Il ventaglio di possibilità per gli sport praticabili dai disabili è veramente ricco.
Nuoto, corsa, tiro con l’arco, scherma, palestra, bodybuilding… l’obiettivo si trasforma man mano che passa il tempo: superare se stessi, le proprie disabilità e le proprie difficoltà significherà, domani, affrontare i problemi della vita in maniera diversa, più incisiva e decisa.
Naturalmente c’è da tener presente che tra i disabili ci sono anche i non vedenti, ed anche per loro sono previsti programmi di questo tipo del tutto specifici. Il bodybuilding, ad esempio, è forse una delle attività fisiche più semplici da praticare in questi casi.
Inoltre prendono sempre più piede, anche in Italia, i gruppi d’ascolto tra disabili in cui è possibile parlare dei propri drammi, dei propri problemi, a persone che hanno vissuto esperienze simili o che vivono una situazione psicologica paritaria, supervisionati da personale specializzato che sarà in grado di gestire le sedute e di aiutare ad esorcizzare il malessere.
Di certo l’attività sportiva, in ogni caso, non può che essere un toccasana, soprattutto per chi soffre di invalidità motorie. Rinforzare la muscolatura nei punti giusti, infatti, può essere un valido aiuto sia in senso psicologico che fisico, permettendo un adeguato reinserimento sociale attraverso la piacevole sensazione del “sentirsi meglio, più forte”, in grado quindi di affrontare la vita e le difficoltà che propone. Di solito gli step che si seguono sono i seguenti, personalizzati, ovviamente, in maniera completamente individuale:
– Aumentare la forza fisica
– Migliorare la coordinazione
– Migliorare capacità motorie e sensoriali
– Migliorare la respirazione
– Aumentare la resistenza alla fatica
Un buon professionista o personal trainer è in grado di preparare programmi appositi ed individuali sulla base dei problemi riscontrati di persona in persona e, sebbene si tratti di un percorso da attuare “in solitaria”, nulla vieta di scegliere un compagno di allenamento con cui condividere obiettivi, motivazione e grinta!
Gli esami clinici consigliati prima di cominciare un’attività del genere sono:
- Visita medica (anamnesi, misure antropometriche e, per i non vedenti, una visita specialistica oculistica)
- Elettrocardiogramma a riposo e da sforzo.
- Esame delle urine (nei soggetti con lesioni midollari, come tetraplegici o paraplegici, vanno integrati con esami più specifici)
E’ buona abitudine, in questi casi, anzi, una stretta collaborazione tra personal trainer e medico curante, in modo da decidere gli obiettivi insieme e stabilire il miglior percorso terapeutico.
C’è poi da segnalare un punto che può sembrare superfluo ma non lo è affatto: il post-allenamento non deve essere avvertito come doloroso. Accettabili sono piccoli fastidi legati all’accumulo di tossine e prodotti di scarto dell’attività fisica e nulla più, di durata massima relativa a qualche giornata. Cautela e buon senso sono espedienti fondamentali per la sicurezza.
Un modo utile di impiegare le proprie ore è anche quello di partecipare ad attività di gruppo: Pilates e Yoga, ad esempio, più che discipline fisiche sono discipline della mente, perchè i muscoli si contraggono solo se si è raggiunto un buon livello di concentrazione. Spesso, per questo tipo di esercizi, sono proprio i non vedenti ad essere più predisposti, perchè la concentrazione che riescono a raggiungere è più completa.